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NOLA. 1600: QUANDO LA PESTE INFIERI’

messa san camillo nolaRICORDATA LA MISSIONE DI SAN CAMILLO DE LELLIS, PATRONO DEGLI AMMALATI E DEGLI OPERATORI SANITARI.

E’ stato il filo conduttore della concelebrazione eucaristica, in memoria di San Camillo De Lellis, la lettera di San Paolo ai Corinzi, incentrata sui doni, nella cui diversità in ciascuno si manifesta lo Spirito per l’affermazione e l’attuazione del bene comune dell’umanità; diversità di ministeri e atti, riconducibili all’unità dello Spirito. E sono essenzialmente i doni della parola della sapienza, della conoscenza e della carità, a servizio del prossimo, nella riservatezza e nella discrezione, senza farne ostentazione e vanagloria…

Filo conduttore, nella cui matrice sono impresse le tracce ispiratrici dell’azione del Santo abruzzese, definito il “Gigante della carità”, a cui Papa Francesco ha dedicato l’anno giubilare, che si è concluso il 14 luglio, in coincidenza con il quattrocentesimo anniversario della morte del patrono degli ammalati, degli operatori sanitari e degli ospedali; tracce, rivisitate e ripercorse nel ricordo del rito liturgico, presieduto da padre Rosario Messina ed officiato nella Basilica- Cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo. E nella storia civile e religiosa del territorio diocesano come della città,della quale è compatrono insieme con San Felice e San Paolino, quella di San Camillo De Lellis, è una presenza operosa e significativa, strettamente collegata con le drammatiche vicende , che furono vissute a Nola e nei Casali dell’immediato circondario dal 1594 al 1600, il lungo arco di tempo, in cui si propagò l’epidemia infettiva, la peste secondo il linguaggio corrente; epidemia, caratterizzata da febbri di crescente aggressività, accompagnate da atroci dolori e sofferenze; epidemia, che toccò l’apice proprio nel 1600, con tanti morti. E per molti di loro la vita si spense nella più cupa solitudine e nel lugubre abbandono di familiari e amici. Né c’erano ospedali che li accogliessero, né la medicina era in grado di fornire terapie specifiche, limitata, ciarlatana e rozza com’era.

E’ l’anno, in cui San Camillo De Lellis, fondatore dell’Ordine dei servi degli infermi, compie in città la missione di aiuto e conforto verso i contagiati dall’epidemia; e con Lui furono impegnati cinque confratelli, che morirono per il contagio contratto nell’opera di umana carità. Ed in questa tragica circostanza, San Camillo De Lellis, era stato nominato Vicario nella guida della diocesi, con la “Bolla”, sottoscritta dal vescovo, monsignor Francesco Gallo, impegnato a Roma per l’ Anno santo, indetto proprio per il 1600.

A determinare l’epidemia, fu lo stato delle acque stagnanti e malsane nei canali di deflusso, scavati nel territorio, e nel fossato perimetrale della città; canali e fossato restati ostruiti per lungo tempo da detriti e materiali di vario genere, senza che si avesse avuto cura di procedere alla loro regolare e normale rimozione. E così la crescente diffusione dei virus batterici, non si lasciò attendere, infierendo soprattutto sulla parte più debole delle popolazioni. Un dramma per nulla nuovo, come attestano le cronache. E si ricorderà che un’analoga e particolarmente estesa epidemia, generata dalle stesse cause, colpì Napoli e tante altre città. Nella sola Nola e nei casali del circondario si contarono circa ottomila morti. Era il 1504.

CORSI E RICORSI: IERI, OGGI… E DOMANII?

Nulla avviene per caso. E alla genesi degli eventi, presiedono cause, che ne danno la spiegazione. In realtà, l’intera area, denominata Ager nolanus, con propaggini estese fino al Litorale domitio, si connota per l’originaria conformazione palustre. Una condizione, che ne determinava – e ne determina – la frequente esposizione agli allagamenti delle piogge alluvionali invernali, i cui effetti risultavano devastanti nel combinarsi con le frequenti, concitate e tumultuose “piene” del Clanio, oltre che con gli abbondanti flussi torrentizi provenienti dalla Collina di Cicala, dai Monti del Vallo di Lauro e dai Monti Avella; effetti, che tra luglio ed agosto diventavano letali, se le acque avevano ristagnato a lungo nei canali e nei fossati predisposti per il deflusso. E le epidemie del 1504 e del 1600 ne sono la conferma. Una condizione “storica” di rischio e pericolo, a cui fu posto rimedio con organiche opere strutturali dal governo del Vice-reame spagnolo di Napoli, facendo realizzare gli interventi di bonifica, correlati con il sistema artificiale dei cosiddetti Regi Lagni. Un sistema di canalizzazione dei deflussi, che, notoriamente, ha funzionato con regolarità fino a circa mezzo secolo fa.

Poi, la disarticolazione del sistema è stata posta in atto con criminosa “scientificità”, nel segno dell’urbanizzazione del territorio senza regole e massicci interventi di edilizia “selvaggia”, impermeabilizzando estese aree, su cui i flussi d’acqua …corrono incontrollati, allagando campi e case, com’è avvenuto, tanto per dire, con la “bomba d’acqua” del 19 giugno scorso. I residui suoli dedicati alle colture da tempo vengono sottoposti a intensive “cure” a base di erbicidi, pesticidi e… concimi variamente assortiti. E’ la “chimicizzazione” spinta , le cui “tossicità” si saldano con le scorie dei rifiuti nocivi e pericolosi, che per anni – indisturbata- la camorra ha interrato, perpetrando quello che costituisce il più grave crimine sociale, qual è l’alterazione irreversibile delle leggi naturali negli equilibri dell’ambiente, capitalizzando profitti e interessi per miliardi di euro…

Un capitolo – questo – certamente distinto e diverso da quello delle lontane, tragiche vicende del 1504 e del 1600. Ma è anche un capitolo, che, per il presente, induce e stimola riflessioni sui comportamenti umani e sociali del nostro tempo. Comportamenti, che lasciano interdetti, se solo si considera quello che sta avvenendo nella piana di Boscofangone, con l’innalzamento della falda acquifera nell’”isola amministrativa” di Polvica di Nola; innalzamento, che nel giro di alcuni mesi ha prodotto un esteso pantano-lago, come se la natura palustre dell’area si stia riappropriando della propria dimensione. Un’impressione, che viene immediata alla vista, anche se spetta alla scienza e agli esperti dirlo con cognizione di causa e competenza, per determinarne le cause e le ulteriori conseguenze possibili. E’ un’impressione , che per se stessa non direbbe nulla, se il pantano-lago non fosse già un concentrato di …veleni.

A darne già conto, è il referto dell’analisi dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Campania. Il documento attesta nelle acque stagnanti del pantano-lago la presenza di metalli e sostanze nocive. Una presenza, che si “spiega” alla luce del “trattamento” – appena delineato – riservato alla piana di Boscofangone negli ultimi decenni. E la stessa presenza, con qualche variante in più o tipologia in meno, che fu registrata dalle ricognizioni in aerofotogrammetria condotte otto anni fa proprio sulla piana di Boscofangone. Le ricognizioni accertarono che alla profondità di quaranta metri erano disseminati…metalli, scorie e residui di sostanze nocive, attingendo le falde acquifere. Un accertamento ufficializzato dai riscontri documentali dell’Istituto nazionale di vulcanologia e che servì a far inserire l’area nel prospetto dei Siti d’interesse nazionale, in uno con il Litorale domitio per le priorità da osservare nell’attuazione del programma di bonifica.

Un prospetto, che attende ancora i riscontri attuativi, dal Nord al Sud. Nessuna sorpresa: così vanno le cose nel… Belpaese.

di Geo

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