Mi raccontava, negli anni sessanta, un’anziana Signora, mia vicina di casa, che, lei ancora piccola, quando si celebrava messa nella cappella del palazzo “DUCALE” c’era un canto dedicato alla Madonna Addolorata, madre e signora, nella tradizione locale, di San Paolo Belsito.
Infatti ancor’oggi viene popolarmente identificata con l’appellativo”’a maronna nostra”. E’ il segno di quel processo sincretico di deificazione di certi valori comuni di una collettività che diventano sacri e attribuiti al santo; L’immagine diventa il simbolo, il prototipo, il possessore delle virtù cittadine. E’ Lo archè della collettività, il totem che è origine, potere simbolico, storia dell’organizzazione sociale.
Il processo segna anche il bisogno di rendere immediato il rapporto con il soprannaturale, che quasi sempre è una richiesta di rifugio spirituale, di protezione, di intimità con l’essenza divina ( visione trascendentale) . La corrispondenza, voluta e invocata dal sentimento popolare, rende esclusivo la connotazione del santo. La Madonna Addolorata è, ad esempio, Sanpaolese. Questa concezione illogica e irrazionale è così radicata in ciascun di noi che non mi ha stupito la reazione di delusione che, io laico, ho avuto, con altri, quando, anni fa, su di un giglio costruito a San Paolo, nel viale dove abitavo, ho visto l’effigia dell’Addolorata. E’ suonato come una profanazione: “’A maronna nostra ‘ncopp’’o giglio ‘e Nola”. E’ la violenza alla sacralità tribale nella sua manifestazione totemica. L’atteggiamento, la visione non è da interpretare in modo negativo, anzi identifica e descrive l’identità collettiva fin qui acquisita; tratteggia la coesione sociale e l’atteggiamento culturale della cittadinanza, anche nella manifestazione religiosa e sentimentale. E’ un grande valore, ancora pregnante, che favorisce tra l’altro la regola comunitaria e l’intesa sociale. La stessa “Festa d’Agosto”con le sue rituali manifestazioni, come ad esempio la “vestizione della madonna” e la sua consequenziale “intronazione”, nonché l’installazione, definita nei modi e nelle forme, della “Allummata”, risponde al bisogno collettivo di religiosità e alla verifica e trasmissione della comune identità, così come oggi si manifesta. Il futuro è affidato al cammino naturale della storia.
Di questo canto che celebrava il rapporto particolare tra la Madonna e i Sanpaolesi però non ho certezze, non ho avuto altre notizie. Di esso mi raccontava la Signora Pasqualina, mentre impagliava, quello che si ricordava: l’inciso è certo; come pure la strofa del cuore spezzato dal dolore con sette spade e quel “nuie simmee ‘e San Paolo ‘e Nola”, che ritroviamo anche nel canto della Madonna di Montevergine e risale probabilmente all’epoca in cui Nola, universitas, contava ben 16 casali tra cui San Paolo.
Alla fine riporto una libera ricostruzione del testo considerando quelle espressioni e quei sentimenti religiosi popolari o sincretici che ancora sono vivi nel cuore della popolazione e che penso siano radicati e sedimentati da lungo tempo. Probabilmente, se questo canto non è frutto di confusione, era di rito popolare, ed è andato perso nel corso dell’avanzare del novecento, nuovo e innovativo secolo. Tanti i canti, i riti, le usanze, le credenze che sono andati persi con il diffondersi sempre più della nuova civiltà che si apriva agli spazi culturali liberatori e progressisti. Sono andati persi perché nel nuovo mondo essi non avevano più la loro funzione, non erano più elementi aggreganti e identificativi di quella cultura nel nuovo assesto sociale e perciò, per naturale evoluzione, sono stati naturalmente eliminati. Ciò vale anche dal punto di vista religioso. La fede dominante, comune o popolare, si libera pian piano sempre più dagli elementi contestuali e sincretici per identificarsi giustamente sul cammino indicato della parola del Vangelo. A noi il compito di conservarne comunque la memoria a testimonianza, nel piccolo come nel grande, di quest’ affascinante storia dell’umanità, del suo cammino di riscatto dall’animalità delle origini verso una sapienza superiore: un percorso che porta, potremmo dire, dalla scimmia all’angelo.
INVOCAZIONE ALLA MODONNA
Maronna patuta
nu figlio perduto
Tra lacrime e spaseme
‘ncopp’a ‘na croce;
Maronna c’’o core spezzato
D’a sette spade, cu sette dulure,
Tu sai che d’è a vita, tu sai che d’è ‘a morte
Strignice ‘mpietto, nun farce suffrìre.
Guardece a casa, prutieggece ‘e figlie
Vide ‘o cammino che ‘a journe facimmo,
e chi a tantu luntane te chiamme e te spera.
Nuie simme ‘e San Paolo ‘e Nola
Cu ‘a fede int’o core
Te stamme ‘ a chiammà.
A te affidamme stà vit’’e speranze,
a te cunfidamme pensiere e fatica,
sule tu ce può cunsulà!
Ohi mamma bella,
Tu si’ a’ Addulurata,
Ricuordete ‘e nuie,
nun ce lassà.
di Antonio de’ Marinis